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i tempi del territorio
Carattere specifico di un piano territoriale e, più in generale, di ogni piano di area vasta, ciò che a prima vista lo differenzia da altri strumenti di pianificazione, è lo sguardo di insieme che esso rivolge ai caratteri più stabili del territorio, alle sue modificazioni lente e di lungo periodo e, al contempo, ai fenomeni innovativi connessi al costituirsi di nuovi paesaggi che si sovrappongono o si sostituiscono rapidamente ai paesaggi del passato. Non solo ai paesaggi fisici, ma anche ed in primo luogo a quelli sociali, economici ed istituzionali.
L’osservazione di un “doppio tempo”, del tempo lungo e delle modifiche improvvise e rapide, è il vero problema teorico e pratico che la costruzione del piano propone. La recente “svolta pragmatista” e le ragioni che l’hanno determinata e ne hanno prodotto una interpretazione spesso banalizzante hanno in molti casi indotto a sottovalutare i problemi che il tempo propone o ad interpretarli in modi assai tradizionali; come se i piani di area vasta dovessero avere al proprio centro una riflessione sugli aspetti strutturali e di lungo periodo di un territorio, mentre piani, programmi e progetti relativi a territori più ristretti, a singoli luoghi, dovessero essere più aperti e disponibili all’evento imprevisto ed imprevedibile.
In realtà tempo lungo e tempo breve non sono disposti linearmente lungo l’asse della storia e nello spazio del territorio; frequenti sono le interruzioni brusche, i punti di contatto e di sfrido tra cose che si muovono a velocità diverse. Talvolta riconosciamo enclaves temporali che si rappresentano entro uno spazio definito; più spesso incrociamo frammenti appartenenti a temi e tempi diversi, luoghi in attesa di adeguarsi a qualcosa di nuovo e non ancora precisamente definito; i processi di accumulazione selettiva appaiono avvenire in modi meno ordinati di quanto li facciano le ricostruzioni storiche successive.
Indagare spazi e tempi del territorio attraverso la lettura del persistere e del permanere dei manufatti è operazione che la scala territoriale consente di compiere in modo forse esemplare. Lo studio delle immagini di un territorio che ciascun soggetto sociale fa proprie e nelle quali si riconosce, lo studio dei sistemi insediativi, dei caratteri della popolazione e delle sue attività rende conto dei diversi tempi del territorio; delle innovazioni che si sono prodotte, delle inerzie e del mutare lento di cose, pratiche, economie.
Questo punto di vista osserva e costruisce diversamente dal passato le relazioni tra i livelli della pianificazione. I piani, come le azioni delle diverse amministrazioni, non si dispongono entro una successione temporale lineare, prima il piano regionale, poi quelli provinciali, poi quelli comunali ed i loro piani di attuazione. Le diverse politiche si sviluppano a più livelli simultaneamente, di continuo interferendo l’una con l’altra, costruendo ciascuna per l’altra un insieme di vincoli, ma anche di suggestioni e sollecitazioni.
Ne deriva qualcosa di importante sul terreno della stessa “forma” dei piani, dei modi nei quali i loro principali enunciati sono formati, composti ed utilizzati. Il passaggio da una scala di pianificazione all’altra, ad esempio dalla scala regionale, alla scala provinciale ed a quella comunale, non può corrispondere al passaggio da indicazioni vaghe a prescrizioni vincolanti e precise e neppure ad un percorso attraverso settori di competenza, attraverso “poteri” tra di loro separati e distinti.
Ogni piano costruisce, a partire dai caratteri specifici del territorio investito e dalle immagini del suo futuro coltivate dalla popolazione che lo abita, una propria strategia, ogni piano “attraversa le scale”, configurandosi simultaneamente come indirizzo e come prescrizione, non investendo in modo omogeneo un territorio i connotati principali del quale sono eterogenei e stabilendo con altri piani, di scala superiore ed inferiore e con le loro strategie punti di contatto, di accordo o di potenziale disaccordo e conflitto, cercando di far divenire il primo occasione per realizzazioni rapide ed efficaci ed i secondi luoghi di dialogo e di interazione fra idee, soggetti, amministrazioni diverse.
Detto in altri termini il piano, ad ogni scala, non tende in primo luogo a definire ambiti di potere, chi può fare che cosa ed a quali condizioni, quanto piuttosto a delineare strategie che possano essere condivise. Al centro della riflessione di un piano siffatto vi sono gli immaginari individuali e collettivi più che le domande che ne sono conseguenza, vi sono temi costruiti dagli stessi immaginari e dal loro incontro con la storia e le condizioni del territorio, vi sono scenari di mondi possibili dei quali siano state attentamente valutate le conseguenze, vi sono infine importanti riflessioni sulle dimensioni del piano, sulle sue dimensioni temporale e strategiche, sull’ordinamento cioè nel tempo delle sue principali azioni; sulle sue dimensioni quantitative, sul suo dimensionamento in termini fisici ed economici; sulle sue dimensioni normative, sull’insieme cioé di indirizzi, vincoli e consigli tramite i quali il piano contribuisce a definire i comportamenti dei diversi soggetti individuali e collettivi.
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