Dispersione, incrementalismo, moblitazione individualistica, industrilizzazione leggera: scenari
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Chi osservi l’enorme dispersione che connota oggi vastissime aree del nostro paese, chi ne osservi le diverse forme e tenti di ricostruirne in modo dettagliato la storia scopre l’importanza dell’ “incrementalismo”, da un lato e della “mobilitazione individualistica” dall’altro. Occorre insistere su questi due aspetti della recente storia del nostro paese: entrambi meriterebbero qualche attenzione per la rilevanza che verosimilmente hanno rivestito nella costruzione di alcuni connotati profondi di ciò che in anni non lontani veniva chiamato il “modello di sviluppo” dell’economia e della società italiana. Entrambi ci mostrano come la dispersione che connota in modo evidente vaste parti del territorio nazionale possa essere interpretata principalmente in termini di risposte individuali (ma informate ad una solida “razionalità minimale”) alla politica incrementalista.
Con il termine “incrementalismo” ci si deve riferire alla tendenza di lungo periodo a variare la dotazione di capitale fisso sociale per piccole dosi che il più delle volte assumono la forma di piccole correzioni o di piccoli interventi destinati ad aumentare “quanto basta” efficienza e capacità. Rete stradale, ferroviaria, della distribuzione dell’energia e rete telefonica, se si accettuano alcuni pochi casi, peraltro fatti immediatamente rientrare entro la politica incrementalista, sono state estese e modernizzate lungo questo percorso che ha enfatizzato l’importanza del capitale fisso esistente e della sua eventuale capacità inutilizzata rispetto ad un capitale fisso di nuova formazione nel quale si rappresentassero nuovi modi di vita, nuovi orizzonti produttivi, nuove tecniche di costruzione e gestione della città e del territorio.
Con i termini di “mobilitazione individualistica” ci si riferisce alla tendenza di lungo periodo delle politiche del nostro paese a sospingere i differenti soggetti, individui, famiglie ed imprese a trovare “da sé” una soluzione particolare e specifica. Famiglie ed imprese hanno risolto “da sé” molti problemi, cercando entro e fuori dalle leggi, in modi legali ed abusivi, entro nuovi modi e stili di vita, nuovi modi e tecniche della produzione, nuove relazioni industriali e sociali e nuovi rapporti con lo Stato ed il sistema politico, una possibilità di partecipare ai benefici che il sistema poteva distribuire. Ciò le ha spinte a costruire le proprie abitazioni, le proprie officine, i propri negozi e le proprie attrezzature laddove un capitale fisso embrionale e non ancora saturo potesse essere rinvenuto; utilizzando, canali e rogge, gore e i torrenti come fognature; i greti dei fiumi come cave, scegliendo le coste od i versanti solatii e stabili, inseguendo una propria idea, spesso “dialettale”, dell’abitare, della casa o dell’officina e del suo adattarsi nel tempo alle nuove esigenze e configurazioni della famiglia o dell’impresa, mutuando stereotipi proposti da una subcultura progettuale e costruttiva. Un aspetto della cultura del paese che urbanistica ed architettura colte non hanno saputo, in generale, canalizzare verso esiti più fertili e convincenti per gli stessi protagonisti.
In questo modo la costruzione della città e del territorio, di uno spazio per abitare e produrre, ha impegnato quote elevatissime delle risorse nazionali, quote elevatissime dei risparmi delle famiglie e delle imprese ed ha portato ad un esito connotato da una straordinaria inefficienza. Misurare quanto questo si rifletta in dispendio di energie individuali ed in minor produttività del sistema economico complessivo non sarà forse mai possibile. Ma i rilievi e le descrizioni meticolose di casi specifici consentono di sospettare che tutto ciò, facendo parte della nostra esperienza collettiva, meriti un’attenzione non improntata a facili moralismi, quanto alla costruzione di ipotesi di crescita e sviluppo del territorio che possano essere condivise.
Entrambi questi aspetti, incrementalismo e mobilitazione individualistica, difficilmente eliminabili, come mostra anche un esame disincantato delle politiche e dei comportamenti entro la provincia di Lecce, dalla tradizione del paese, possono però divenire punti di partenza di una più interessante strategia di sviluppo e di progettazione del territorio che, partendo dai numerosi nuclei di industrializzazione esistenti entro il Salento ed attraverso interventi che ne incrementino gradualmente, anche se rapidamente, l’efficienza e la produttività, consenta l’espansione di un’industrializzazione leggera.
Alla crescita e sviluppo dell’economia locale, alla sua industrializzazione in particolare ed alla crescita dei servizi e delle attività terziarie a ciò connesse, al carattere endogeno dello sviluppo, alla formazione di capacità imprenditoriali e di mercati locali è affidato il raggiungimento di obiettivi fondamentali non solo in termini economici. “Riconoscere i diritti di cittadinanza, riconoscere il valore della partecipazione nella costruzione del futuro del territorio” vuol dire anche dare a queste affermazioni una dimensione concreta in termini di occupazione, di redditi, di servizi offerti, di comfort e qualità ambientale.
Uno scenario non deve in alcun modo essere assunto come ipotesi progettuale, ma come spunto per una riflessione che, pur fondandosi su riconoscibili e documentabili tendenze in corso, ancora non si deposita in scelte ed in indirizzi di politica del territorio.
Gli scenari illustrati affrontano in particolare il tema della dispersione e inducono a riflettere sui diversi caratteri che essa può assumere, sulla sua possibile integrazione con le reti infrastrutturali, con il sistema ambientale e con il paesaggio.
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